ISA 2022: chiarimenti dal Fisco


Con la circolare 25 maggio 2022 n. 18/E, l’Agenzia delle Entrate fornisce chiarimenti sulle novità riguardanti l’applicazione degli Indici sintetici di affidabilità fiscale (ISA) per il periodo d’imposta 2021.

Gli Indici sintetici di affidabilità fiscale (ISA) in vigore per il periodo d’imposta 2021 sono caratterizzati da una sostanziale continuità con quanto avvenuto nel passato. In particolare, il processo evolutivo e di aggiornamento dello strumento, finalizzato a tener conto degli effetti di natura straordinaria della crisi economica e dei mercati conseguente all’emergenza sanitaria causata dalla diffusione del COV/D-19 per il periodo d’imposta 2021, rappresenta la logica prosecuzione del percorso metodologico intrapreso lo scorso anno.


In tal senso, il documento di prassi dell’Agenzia delle Entrate ha l’obiettivo di rendere disponibile all’utenza, in occasione della campagna dichiarativa 2022, una rassegna sistematica di tutti gli elementi relativi agli indici sintetici di affidabilità fiscale (ISA) disciplinati nei mesi passati con diversi atti e documenti normativi (decreti ministeriali, provvedimenti, istruzioni alla modulistica dichiarativa) ovvero contenuti nel software di calcolo o relativi alle modalità di trasmissione.


In particolare sono trattati:


– gli interventi straordinari sugli ISA in vigore per il periodo d’imposta 2021;


– la modulistica;


– gli ulteriori dati forniti dall’Agenzia delle Entrate;


– il software applicativo “il tuo Isa 2022;


– il regime premiale ISA.


Regime agevolato per docenti e ricercatori


I chiarimenti del Fisco per chi ha trasferito la residenza in Italia prima del 2020 (Agenzia delle entrate – circolare 25 maggio 2022, n. 17/E).

L’Agenzia delle Entrate con la circolare in oggetto chiarisce l’ambito applicativo dell’opportunità introdotta dall’ultima legge di Bilancio (Legge n. 234/2021) che permette a docenti e ricercatori di estendere il regime di favore fino ad un massimo di tredici periodi di imposta complessivi e fornisce risposte ai dubbi di ricercatori e docenti tornati in Italia dall’estero prima del 2020 che intendono continuare a usufruire dell’imposizione agevolata prevista per il rientro dei cervelli.
Con l’entrata in vigore della legge di Bilancio 2022, docenti e ricercatori rientrati in Italia dall’estero possono optare per l’estensione delle agevolazioni a otto, undici o tredici periodi di imposta complessivi, previo versamento di un importo in unica soluzione. Questa possibilità è assicurata a condizione che i contribuenti siano stati iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero oppure che siano cittadini di Stati Ue, che abbiano già trasferito in Italia la residenza prima del 2020 e che al 31/12/2019 fruivano nell’agevolazione prevista per il rientro dei ricercatori (articolo 44 del Dl n. 78/2010). Inoltre i contribuenti devono essere diventati proprietari di un’abitazione in Italia successivamente al trasferimento, nei dodici mesi precedenti oppure entro diciotto mesi dalla data di esercizio dell’opzione e/o avere da uno a tre figli minorenni.
L’opzione si perfeziona con il pagamento di un importo che varia in base al numero dei figli.
L’Agenzia delle Entrate, inoltre, chiarisce come interpretare il requisito della presenza nel nucleo familiare di avere figli minorenni, anche in affido preadottivo. Questo requisito, spiega l’Agenzia, deve essere presente nel periodo di imposta in cui è effettuato il versamento. La circostanza che i figli compiano 18 anni in un momento successivo non determina pertanto la perdita dei benefici fiscali per l’intero periodo previsto.
Un altro chiarimento fornito dalle Entrate riguarda il requisito di acquisto di un’unità immobiliare entro diciotto mesi dalla data di esercizio dell’opzione mediante il versamento. Questo termine, spiega l’Agenzia, va calcolato secondo il calendario comune e comprende il periodo che arriva fino al giorno precedente la conclusione dei 18 mesi. Ad esempio, in caso di versamento effettuato entro il 10 febbraio 2022, l’acquisto dell’unità immobiliare dovrà essere concluso e perfezionato entro e non oltre il 9 agosto 2023.

Trattamento fiscale del reddito prodotto da un consulente per l’attività resa ad un Ministero italiano


L’Agenzia delle Entrate con la risposta 20 maggio 2022, n. 285 ha fornito chiarimenti sul trattamento fiscale applicabile, ai fini Irpef e IVA, al reddito di lavoro autonomo prodotto da un soggetto residente nei Paesi Bassi per un’attività di consulenza resa ad un Ministero Italiano.

Nel caso di specie, all’Agenzia delle Entrate è stato chiesto se, sul compenso spettante al consulente non residente per il contratto individuale di collaborazione, si debba applicare la ritenuta alla fonte di cui all’art. 25, co. 2, D.P.R. n. 600/1973, e se, quindi, il medesimo compenso rientri tra quelli di lavoro autonomo in ragione del collegamento tra l’attività di consulenza prestata dal professionista e l’oggetto della professione svolta dallo stesso.
Va premesso che in base all’ordinamento tributario domestico, il criterio di collegamento ai fini dell’attrazione dei compensi nella potestà impositiva dello Stato è costituito dal luogo ove è svolta la prestazione lavorativa; di fatto, sono imponibili in Italia i soli compensi corrisposti ai lavoratori autonomi non residenti, per l’attività lavorativa svolta in Italia.
La normativa domestica deve, tuttavia, essere coordinata con le disposizioni internazionali contenute nella Convenzione per evitare le doppie imposizioni stipulata tra Italia e Paesi Bassi.
In particolare, nel caso in esame, occorre fare riferimento all’art. 14, co. 1, della Convenzione in base al quale “I redditi che un residente di uno degli Stati ritrae dall’esercizio di una libera professione o da altre attività di carattere indipendente sono imponibili soltanto in questo Stato, a meno che detto residente non disponga abitualmente nell’altro Stato di una base fissa per l’esercizio delle sue attività. Se egli dispone di tale base, i redditi sono imponibili nell’altro Stato ma solamente nella misura in cui sono imputabili a detta base fissa”.
La norma convenzionale stabilisce, in sostanza, che i compensi derivanti dall’attività professionale sono imponibili solo nello Stato di residenza del professionista, a meno che detto professionista non disponga abitualmente di una base fissa per l’esercizio della sua attività nello Stato contraente da cui provengono i compensi. In tal caso, i redditi sono imponibili anche nello Stato contraente, ma solamente nella misura in cui sono imputabili a detta base fissa.
Il dubbio interpretativo dell’ Istante riguarda proprio la verifica della disponibilità, da parte del professionista, di una base fissa in Italia per l’esercizio dell’attività professionale.
Al riguardo, si ricorda che, sebbene le Convenzioni per evitare le doppie imposizioni stipulate dal nostro Paese facciano riferimento, per le professioni indipendenti, all’espressione “base fissa”, non ne delimitano precisamente i contorni.
Secondo la dottrina e la giurisprudenza, la nozione in parola è da ricavare facendo ricorso ai criteri ermeneutici propri dell’interpretazione dei trattati.
Sulla base di quanto emerge nel Commentario del Modello OCSE all’articolo 5, paragrafo 2, il concetto di “base fissa” deve essere assimilato al concetto di “stabile organizzazione”, ossia una sede fissa di affari in cui il professionista esercita in tutto o in parte la sua attività indipendente.
Secondo la giurisprudenza, la base fissa può essere equiparata alla nozione di stabile organizzazione i cui elementi costitutivi sono quello materiale ed oggettivo della “sede fissa di affari” e quello dinamico dell’esercizio in tutto o in parte della sua attività. Può essere costituita anche da un locale o da una stanza di proprietà di altri soggetti che, tuttavia, deve essere a disposizione del lavoratore autonomo e nel quale questo esercita la sua attività o parte della stessa.
Un tipico esempio è quello di un pittore che, per due anni, trascorre tre giorni a settimana nel grande edificio del suo principale cliente. In tal caso, la presenza del pittore in quell’edificio dove svolge le funzioni più importanti della sua attività (cioè la pittura) costituisce una stabile organizzazione del pittore.
Ciò posto, stabilire se il professionista in esame abbia a disposizione un luogo che possa considerarsi una “base fissa” in Italia, quale ad esempio, la struttura logistica messa a disposizione dal Ministero, dipenderà dal potere effettivo del Consulente non residente di utilizzare tale ubicazione per svolgere la sua attività professionale, nonché dalla portata della presenza del professionista in quel luogo e delle concrete attività che vi svolgerà.
Pertanto, nella ipotesi in cui il Consulente utilizzi le strutture logistiche presenti presso gli Uffici di diretta collaborazione del Ministro integrando nei termini sopra descritti i requisiti della sussistenza di una “sede fissa” di affari in Italia, è possibile applicare sui compensi erogati la ritenuta a titolo d’imposta nella misura del 30%.


Ai fini dell’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto, occorre valutare la sussistenza dei presupposti soggettivo, oggettivo e territoriale recati dall’art. 1 del decreto Iva, ai sensi del quale “L’imposta sul valore aggiunto si applica sulle cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese o nell’esercizio di arti e professioni”.
Nel caso di specie, in cui il Ministero non risulta titolare di partita Iva, non risultano integrate le condizioni per considerare la prestazione di servizi territorialmente rilevante in Italia.


Il prestatore di servizi estero dovrà quindi emettere fattura con l’addebito dell’Iva secondo le regole vigenti nello Stato estero.


Fisco: istruzioni operative in materia di prezzi di trasferimento


Fornite istruzioni operative in merito alla corretta interpretazione della nozione di “intervallo di libera concorrenza” (Agenzia delle entrate – Circolare 24 maggio 2022, n. 16/E).

La corretta applicazione del metodo più appropriato per la determinazione dei prezzi di trasferimento può portare a ottenere anziché un unico valore, un intervallo di valori tutti conformi al principio di libera concorrenza.
In questi casi è possibile ricorrere all’intera gamma di valori all’interno dell’intervallo di libera concorrenza (cd. “full range”) se tutte le operazioni individuate nell’intervallo sono parimenti comparabili.
Se, invece, alcune delle transazioni comprese nell’intervallo dovessero presentare difetti di comparabilità che non possono essere identificati o quantificati in modo affidabile e, quindi, rettificati, è preferibile l’utilizzo di “metodi statistici” (al fine di rafforzarne l’affidabilità) e di un valore compreso nell’intervallo ristretto. Il ricorso, invece, ad un valore il più possibile centrale all’interno dell’intervallo (anche al fine di minimizzare il rischio di errore dovuto alla presenza di tali difetti) deve essere limitato ai casi in cui l’intervallo non comprende valori caratterizzati da sufficiente grado di comparabilità neppure per considerare affidabile qualsiasi punto compreso nell’intero intervallo ristretto tramite strumenti statistici e deve, in ogni caso, essere specificamente motivato.
Pertanto, sarà cura degli Uffici far ricorso al “full range” ai fini della individuazione dell’intervallo di libera concorrenza soltanto in quei casi in cui sia ravvisabile una perfetta comparabilità di tutti i soggetti del set con la “tested party”.
In conclusione, nel ricordare nuovamente che secondo le Linee Guida OCSE l’individuazione di un insieme di valori potrebbe essere sintomatico del fatto che l’applicazione del principio di libera concorrenza consente in determinate circostanze di pervenire unicamente a un’approssimazione delle condizioni che sarebbero state stabilite tra imprese indipendenti, l’Agenzia raccomanda di argomentare puntualmente le rettifiche che comportano l’individuazione del punto che soddisfa maggiormente il principio di libera concorrenza all’interno dell’intervallo.


 

Transferred employees: rimborso spese non tassabile per l’acquisto di tablet scolastici



Il rimborso da parte del datore di lavoro delle spese sostenute dai dipendenti che rientrano nella categoria dei ” transferred employees” per l’acquisto di laptop/tablet non costituisce reddito di lavoro dipendente (Agenzia delle entrate – Risposta 24 maggio 2022, n. 294)


La società istante al fine di sostenere i dipendenti trasferiti in Paesi stranieri (cd. “transferred employees”) con figli in età scolare, ha intenzione di introdurre a favore di tale categoria di lavoratori la possibilità di ottenere il rimborso delle seguenti spese sostenute a favore dei figli iscritti in istituti scolastici:
– acquisto di laptop/tablet come parte integrante del materiale didattico;
– contributo per il test d’ingresso il cui superamento è condizione per l’ammissione alla scuola.
La Società istante, in qualità di sostituto d’imposta, chiede conferma che il rimborso, delle spese per l’acquisto di laptop/ tablet e per il test d’ingresso sostenute dai propri dipendenti appartenenti alla categoria dei “transferred employees” per la frequenza degli istituti scolastici da parte dei propri figli, non concorra alla formazione del reddito da lavoro dipendente.
Per il Fisco il rimborso da parte del datore di lavoro istante delle spese sostenute dai dipendenti che rientrano nella categoria dei ” transferred employees”, per l’acquisto di laptop/tablet non costituisce reddito di lavoro dipendente ai sensi dell’articolo 51, comma 2, lettera f-bis), del Tuir.
Per quanto riguarda il rimborso dell’eventuale costo di iscrizione per il sostenimento di un test d’ingresso, il cui superamento è condizione per iscrizione all’istituto scolastico, si ritiene che lo stesso non generi reddito di lavoro dipendente ai sensi della citata disposizione, in quanto possa rientrare tra le spese sostenute per la frequenza scolastica.
Il presente parere viene reso dall’Agenzia delle entrate sulla base degli elementi e dei documenti presentati, assunti acriticamente così come illustrati nell’istanza di interpello, nel presupposto della loro veridicità e concreta attuazione del contenuto e nel presupposto che il dipendente che riceve le predette somme sia residente fiscalmente in Italia e come tale tenuto ad assolvere le imposte in Italia nell’anno in cui riceve le medesime somme.